Classe 2015
Quest’anno sembra di avere un’annata da ricordare all’asilo di Mkoka. I bambini sono 50, come al solito tutti fantastici. Abbiamo personalità illustri: il figlio di uno dei capi villaggio, la figlia di un poliziotto, il figlio di un dottore e il figlio del mugnaio. Tutti gli altri sono figli di contadini. In questo paese non è importante essere figlio di ricchi o di poveri, tutti i bambini sono uguali e trattati nello stesso modo, non esiste classismo. Però grazie a queste personalità “illustri” ogni mattina arrivano all’asilo tre moto cariche di tre bambini a testa che, a musica spianata, portano i bambini a scuola.
Come ogni anno, tra 50 bambini, ne ritrovi alcuni piuttosto buffi, alcuni testardi, altri troppo magrolini e malaticci, e alcuni con le predisposizioni così accentuate per le quali ti ritrovi a sognare sul loro futuro.
Ogni tanto penso a Messi che da grande diventerà una celebrità del ballo riconosciuta a livello internazionale; a Baraca e al suo occhietto furbo, dove ci vedi quel guizzo di genio per il quale da grande se lo vorrà, sai già che raggiungerà ogni traguardo che si prefigge e magari il traguardo sarà salvare il suo paese dalla povertà, chissà!
Abbiamo Amina, la bambina abbandonata da neonata sulla porta di casa di due coniugi che l’hanno amata e allevata come fosse la loro figlia. Non sappiamo di che tribù sia, ma di sicuro ha gli occhi più belli e dolci di questo mondo.
C’è Sansoni, che non vuole mai mangiare, e ogni giorno devi supplicarlo come fosse un favore personale. Sostiene di non aver fame, in realtà è diffidente e solitario, vuole sempre giocare da solo.
E poi c’è il terremoto di Mkoka: Anita. Sembra la donna rivoluzionaria di un libro dell’Allende.
Una donna di 4 anni. 90 centimetri di altezza, il viso da monella, gli occhi da furba e l’atteggiamento da boss della mafia. Arriva all’asilo un’ora prima che apriamo e di solito mi urla qualcosa dalla finestra. Quando si alza per uscire dalla classe non chiede il permesso, si limita a dire alla maestra “torno subito!”. Entra in cucina quando stiamo preparando da mangiare per chiedere: “che si mangia oggi?” come se fosse al ristorante, e, cosa molto importante lei NON scrive. Anita è nella classe dei piccoli, dove si insegna ai bambini a tenere la matita in mano e pian piano si insegnano i numeri, le vocali ecc. Ma lei no. Non scrive. Non vuole neanche il quaderno.
L’altro giorno ho provato a parlarle, con le buone le ho chiesto il motivo e mi ha risposto, con un po’ di vergogna “Anna, io non scrivo perché non so scrivere. Loro pensano che non voglio farlo, ma è proprio che non ci riesco!”. Ho riso e le ho spiegato che alla sua età nessuno sa scrivere, è normale, si va a scuola per imparare.
La verità è che adoro i nostri bambini, sono speciali, tutti. Quando arrivano all’asilo i primi giorni piangono perché hanno paura dei bianchi, ma dopo poco si abituano e sembra non vedano più la differenza del colore della pelle.
È fantastico poter capire i loro discorsi, sentiti dai grandi e ripetuti ai loro coetanei all’ingresso di scuola. Qui li chiamano “stori ya mtaani”, le storie di quartiere, ovvero quello che succede nella loro zona. “Sai che tizio ha comprato due capre?” o cose del tipo “quest’anno tal’altro ha piantato noccioline, dicono il prezzo sia salito molto!”. Discorsi che in bocca a bambini di quattro anni suonano davvero buffi.
Ora tutti aspettano di avere la divisa scolastica. L’anno scorso quando abbiamo fatto cucire le divise, le bambine la mattina si rifiutavano di mettersi una maglia per il freddo per non coprire la divisa scolastica nuova. Sono vanitosi e orgogliosi di essere non più bambini, ma studenti.