Le piaghe dell'Africa di Francesca Appolloni

Non ci sarebbe bisogno di un viaggio in Africa se, per fare davvero sue le cose, l’uomo non dovesse sempre toccare con mano e sperimentare direttamente. La televisione non ci risparmia immagini di degrado materiale, di fame e di miseria. La Tanzania non è il Sael, ma non naviga nell’abbondanza e le piaghe dell’Africa hanno colpito anche qui. Quella più grande e più pesante, per chi la vive ma anche per la coscienza di chi sa e non può non fare, è l’aids. Molti bambini ne sono affetti, per averlo contratto al momento del parto; molti bambini sono rimasti orfani dei genitori; tutti questi bambini vengono emarginati dalla famiglia d’origine, non per cattiva volontà, ma per ignoranza, per paura del contagio, per il costo delle medicine. Gran parte del lavoro delle suore locali e missionarie è rivolto anche a questi bambini, per rendere la loro breve vita migliore possibile. In fondo, questi piccoli angeli, non chiedono che un pò di affetto e di carezze “private”. A Dodoma esiste un asilo gestito da suore tanzaniane che ha bisogno di tutto, dai vestiti ai lettini, per accogliere tutti i piccoli ospiti che quotidianamente bussano alla porta e nessuno dei quali viene rimandato indietro. Quello che vogliamo fare è aiutare queste “mamme” e la solidarietà a distanza ci sembra il mezzo migliore; una sorta di affido, un’adozione consapevolmente a termine, ma proprio per questo ancora più gratuita di quelle che ci consentono di seguire il bambino – sia pure a distanza – nel suo percorso formativo scolastico e personale. Un’altra priorità importante riguarda la donna, che deve acquistare la consapevolezza di essere persona e, per ciò stesso, con una dignità che solo istruzione e autonomia possono poi, nei fatti, garantirle. Per questo i missionari s’impegnano ad aprire asili e scuole: per garantire istruzione e – soprattutto attraverso scuole di cucito il cui diploma è riconosciuto dallo Stato – la possibilità di avviarsi nel mondo del lavoro. Aiutare una persona a costruirsi non può prescindere dall’insegnarle a prendere consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie aspettative, per essere autonoma e camminare, poi, con le proprie gambe. La politica di auto-aiuto che adottano i missionari, dunque, crediamo sia la migliore per rendere la gente di questi luoghi più responsabile e consapevole e per non operare spinti dalla compassione, a meno che non sia il cum pateo di latina memoria, giacché il degrado morale del ricco occidente ci sembra una piaga ben peggiore del degrado materiale dell’Africa.