Karibu di Anna
Karibu. È la prima parola che ho sentito in lingua swahili. Significa avanti, benvenuto, ed è proprio così che ci hanno fatto sentire da subito: siamo i benvenuti! Sono Anna, una quasi-dottoressa della facoltà di Architettura del Politecnico di Torino che si è avvicinata tempo fa a Gabnichi per avere la possibilità di fare un’esperienza presso una delle missioni della onlus senese. La mia tesi tratterà i mattoni di terra cruda, tecnica costruttiva utilizzata in gran parte dell’Africa, ma anche in India, America del Sud ed Europa. Vorrei innanzi tutto ringraziare l’associazione per avermi dato l’opportunità di conoscere e visionare le tipologie costruttive in uso in Tanzania, ma soprattutto per avermi permesso di conoscere le persone del posto e di vivere le sensazioni che ho provato durante questo magnifico viaggio. Sono partita da Torino il 6 ottobre alle 3.00 del mattino in direzione Malpensa, ansiosa di prendere un aereo che mi avrebbe condotta in Tanzania, la terra dei bambini masahi tutti impolverati, di Padre Egidio e della sua grande famiglia che è la comunità di Mkoka. A colpirmi appena arrivata, sono state principalmente tre cose: il profumo speziato dell’aria, la calorosa accoglienza di un vecchio frate cappuccino che ci aspettava all’aeroporto e la gigantesca nuvola di zanzare venuta a darci il benvenuto. Dopo una bella dormita nella missione di Padre Silvano, siamo partiti di mattina per raggiungere Mkoka. All’uscita della città c’erano un caldo ed un traffico incredibili. Le case sono in mattoni in terra cruda con il tetto in lamiera ondulata a due fale. Tutte uguali in dimensioni, cambiano colore in base alla terra del posto. Dopo otto ore di viaggio abbiamo lasciato la strada asfaltata e preso la strada sterrata che in circa mezz’ora ci ha condotti alla missione. Siamo a casa! Io e le mie due compagne di viaggio abbiamo alloggiato in una stanza all’interno dell’asilo, con il bagno in camera. Padre Egidio alla missione ha un pozzo profondo 70 metri dal quale, con l’aiuto di un motore diesel, estrae l’acqua. Ogni mattina c’è la coda delle persone con i secchi per prendere l’acqua. Il governo da tre anni promette di portare l’elettricità a Mkoka, ma ancora non sembra muoversi nulla. Noi, grazie al motore di Padre Egidio, avevamo a disposizione acqua ed elettricità tutte le sere, ma questo non è possibile per gli altri abitanti del villaggio. Ogni mattina i bambini masahi facevano un po’ di baccano per svegliarci perché erano ansiosi di vederci. Al mattino tutti i bambini si incontrano di fronte all’ingresso dell’asilo costruito da Gabnichi nel 2006 e si dispongono su due file, cantano e ballano tre canzoncine e poi entrano nelle classi. Abbiamo portato loro dei quaderni e dei colori, sono stati molto felici. Ogni volta che entravamo in classe ci auguravano il buon giorno in inglese e si alzavano dalla sedia: sono proprio bellissimi. Stanno imparando a contare in inglese e sono ansiosi di mostrare le loro conoscenze e i loro quaderni con i bei voti presi. Hanno tutti le divise: calzoncini blu e camicia a quadretti blu e bianchi. Padre Egidio è sempre molto impegnato perché tutti fanno conto su di lui per i vari problemi giornalieri: ripara ogni attrezzo meccanico, dal compressore al flessibile alla macchinetta per tagliare i capelli, fa da paciere in caso di discordie, distribuisce medicine per i malati, mette in accordo villaggi confinanti e chiede preventivi per costruire nuovi pozzi e, visto l’alto tasso di analfabetismo, all’occorrenza legge la corrispondenza su richiesta. È davvero un tutto fare: ha un carisma incredibile, che gli è necessario per tenere le redini della comunità. I giorni alla missione sono davvero volati: i momenti felici passano veloci. Lisa doveva riscontrare personalmente le condizioni di vita nell’ambiente familiare di alcuni dei bambini sostenuti da Gabnichi attraverso le “adozioni a distanza” e quindi abbiamo avuto la fortuna di essere accolti nelle case del villaggio: il padre di una delle bambine si è scusato per non avere nulla da offrirci da bere e lo ha detto con tale mortificazione che ci siamo sentite tutte davvero in profondo imbarazzo. È curiosa l’idea che questa gente ha degli europei: una donna del villaggio ci ha ringraziati ed elogiati sostenendo che la gente venuta dall’Europa è di indole generosa perché fa davvero tanto per aiutare gli africani: ho pensato che quella donna prendeva come esempio Padre Egidio e non sapeva nulla dello sfruttamento dei paesi in via di sviluppo, delle multinazionali e della manodopera a basso costo, delle guerre per fini economici, del consumismo che divampa, del fatto che la metà del cibo che compriamo lo buttiamo e di me che ogni giorno con una doccia consumo più acqua di quanto lei e la sua famiglia possano berne in una settimana. Se quella donna avesse saputo queste cose, probabilmente, avrei sentito un karibu in meno rispetto a quanti mi sono stati rivolti! Sono tanti gli aneddoti divertenti che mi tornano in mente: uno sfortunato topolino di pochi centimetri che si è intrufolato nella nostra stanza una sera creando non poco scompiglio, diventando il giorno dopo il pettegolezzo della missione; Lisa che torna da una visita al villaggio con una gallina tra le mani come regalo di ringraziamento; i festeggiamenti per Padre Egidio che aveva vinto per la prima volta una partita a scacchi contro il computer; la capra regalata dal capo masahi che si è fatta un viaggio di ottanta chilometri con noi nella jeep. Ci siamo divertite molto nel nostro breve viaggio e sono nate delle grandi amicizie. È stata un’esperienza bellissima che auguro a tutti; anche se con tante lacrime, alla fine abbiamo dovuto salutare la Tanzania… con la speranza di poterci tornare al più presto e di avere la possibilità di dare un personale piccolo contributo per aiutare questa gente che è piena di bisogni ma che ha anche tanto da offrire.