I viaggi in moto di Sara Guglielmetti
Ne parliamo da tanto noi tre, l’Africa ci stava chiamando ma forse ancora non eravamo pronte. Poi finalmente l’incontro con Gabnichi e con Anna e la capacità che queste persone hanno avuto nel farci sentire da subito parte di un gruppo, di un insieme. Sono tornata da due mesi ormai e non c’è giorno in cui non pensi all’Africa, alle persone che ho conosciuto e a quello che ho imparato su me stessa attraverso questa splendida terra, sento che questa esperienza mi si è attaccata addosso fino a fare completamente parte di me e del mio nuovo modo di vedere le cose, mi sento cresciuta e più consapevole. Il volo è stato lungo e stancante ma pieno di attesa per il viaggio che stava per iniziare e facendo scalo in Etiopia eravamo letteralmente terrorizzate da qualsiasi zanzara ci si parasse davanti poichè il centro vaccini e tutte le persone a cui dicevamo di andare in Tanzania ci dicevano per prima cosa di stare attente alla malaria o peggio ancora alla famigerata febbre gialla. Arrivate a Dar invece, ci siamo accorte che dovevamo concentrarci su altri aspetti, in quel momento più concreti. Quell’insieme di colori, baracche, odori, persone e polvere ci ha rapito ed era fondamentale non perdere di vista Anna che ci ha accolto insieme ad Angela e Maddalena e senza la quale in questo momento saremmo ancora alla stazione dei pullman di Dar per cercare di raggiungere Mkoka... I viaggi interni e gli spostamenti su qualsiasi mezzo sono l’unica cosa che non mi manca troppo, stipati in quella sorta di veicolo guardavo fuori dal finestrino... e mentre la mia schiena sognava una liscia e morbida autostrada in asfalto nero, i miei occhi si riempivano di un paesaggio mai visto, incontaminato, selvaggio, a tratti arido a tratti verde, spesso deserto e a volte pieno di bambini. Man mano che ci avviciniamo a Mkoka iniziano a sparire gli alberi e i venditori ambulanti sulla strada e tutto ha indistintamente lo stesso colore della sabbia, sarà anche per questo che appena giunte alla missione l’ho percepita come un’oasi, un rifugio fatto di acqua, cibo ma soprattutto persone a cui chiedere una mano; il primo tra questi è ovviamente Padre Egidio che con i suoi ottanta anni, di cui sessanta passati in Africa, rimane una delle persone più energiche che abbia mai conosciuto. Ci ha accolto con le mani nere di olio di motore e con un guizzo negli occhi e una parlantina a cui non ho potuto non voler subito bene, è un padre francescano, un missionario, ma per l’amore che c’era intorno a lui e per ciò che mi ha trasmesso, posso considerarlo il mio terzo nonno. Anche i bambini ci vengono incontro, curiosi di noi e di ciò che potremo avere portato per loro, e in linea con i principi di buona educazione ci portano le valigie fino al nostro alloggio, una stanza all’interno dell’asilo. Nel pomeriggio giochiamo con loro e anche se non capiamo una parola delle nostre reciproche lingue i loro sguardi bastano a farmi stare bene. Il sole sta calando sulla missione, un sole enorme che si perde come uno spillo in un cielo infinito, che ci avvolge completamente, respiro l’aria buona e il silenzio a pieni polmoni cercando di non lasciare indietro niente, di non perdermi nessuna emozione. Non ho mai visto così tante stelle in vita mia, non tutte insieme... E’ scesa la notte e prima di dormire penso a quanto deve essere buio il villaggio in questo momento... Solo le stelle e la luna, grande almeno quanto il sole, mi permettono di vedere le mie mani... Mi sento in equilibrio con me stessa e con questa terra ancestrale in cui sono da appena venti ore e che mi sembra già di conoscere bene. Sdraiata nel letto sono troppo emozionata e stanca per dormire e ancora non ho idea di tutto ciò che verrà nei giorni a seguire...la guida di Padre Egidio, le foto con l’iPad alle curiose e bellissime donne masai, l’invasione di mosche al villaggio di Baba Isaia, la sensazione di estrema libertà dei viaggi in moto, l’arrivo al villaggio di Mlali tra lo stupore e la curiosità collettiva nel vedere sei donne bianche, la fatica del primo giorno in cantiere sotto il sole cocente, le risate fatte con gli operai che ci prendevano in giro per come zappavamo la terra, le ragazze della scuola di cucito e i bambini dell’asilo di Mlali che tutti i giorni ci correvano incontro per salutarci nel modo in cui avevano imparato a scuola, l’inglese, e ancora la conoscenza più approfondita di Anna che mi ha fatto trovare una persona buona, che crede nei suoi ideali e che stimo molto, vedere giraffe e zebre in libertà durante il safari nel parco di Mikumi, l’incontro e la confidenza instaurata con Leti che mi diceva tutti i giorni che ero bellissima e di Rafa che in una scala immaginaria di valori mette l’ugali in cima alla classifica, le donne avvolte nei loro kitenge per le vie rosse di Mlali, il mercato dell’ebano di Dar e quello dei Tinga tinga, le contrattazioni di prezzo su qualsiasi cosa, le distese di terra rossa e baobab, i bambini bene educati di Rafa che invece di “ciao pippi” ci salutavano con “shikamoo”, i sambusa di Dar, il fresco di Morogoro, i velocissimi bajaji, i cambiamenti del cantiere che si sviluppa sotto i nostri occhi, la pesantezza e il rumore del setaccio, l’orgoglio di aver preso la giusta terra per aver costruito, con non poche difficoltà, dall’inizio alla fine il mio primo mattone... Ancora non so tutto questo ma sono serena, mi sento appagata ed è una bella sensazione quella di trovarsi esattamente dove uno si vuole trovare, faccio pensieri filosofici e primordiali in questo dormiveglia, sono davvero esausta, non riesco neanche a formulare pensieri lucidi e ben costruiti... penso all’Italia, alle risorse e alle ricchezze che abbiamo e a come vengono poco sfruttate o addirittura ignorate, anche questa terra è ricca e piena di risorse ma qui non ci sono i mezzi ne la conoscenza per poter cambiare certi meccanismi in poco tempo, penso al caos e allo stress, al mio e al tuo, alla proprietà privata, concetti qui assenti nella vita come nel vocabolario, penso alla mia famiglia e ai miei amici perchè sento che solo stando qui potrebbero cambiare alcuni lati del loro carattere e alcune loro convinzioni, penso a quanti aspetti io stessa ho sempre dato per scontato dal rispetto delle persone che mi sono vicine, alle comodità che ci circondano... Sulla zanzariera che mi copre ci sono tre grossi buchi e sento l’inconfondibile ronzio delle zanzare nella stanza, mi sento già diversa dalla turista che si ricopre di Autan all’areoporto, non mi sembra più così probabile prendere la malaria, o forse ciò che ho visto in un giorno è bastato a farmi capire che è il destino che sceglie per noi... potrei curarmi se proprio dovessi essere sfortunata mi ripeto, e comunque sono io l’ospite in questa terra selvaggia e povera, la malaria è l’ultimo dei miei problemi... Io sono qui e sono felice. Buonanotte