Appunti di viaggio in Kosovo - 27 - 30 ottobre 2005 di Dott. Enrico Cecchetti (Deputato Fondazione MPS)
Giovedì 27 ottobre
Voliamo con la MALEV Hungarian Aerlines da Roma a Budapest su un aereo pienissimo e poi, con un Boeing 737 quasi vuoto, da Budapest a Pristina. Senza alcun intoppo arriviamo nel primo pomeriggio dopo poco più di quattro ore. E’ una bellissima giornata di sole. Ho due compagni di viaggio che non conoscevo e che si riveleranno persone davvero squisite: Luca Venturi e Don Doriano Carraro.
Luca è un ingegnere che mette volentieri le sue competenze al servizio di molte iniziative di solidarietà internazionale. Ha seguito in altri due precedenti viaggi in Kosovo i lavori di ristrutturazione della scuola che andiamo ad inaugurare a Pec/Peja ed è presidente di Gabnichi ONLUS, una associazione senese che opera in alcuni Paesi africani.
Don Doriano è responsabile per l’Arcidiocesi di Siena di MIGRANTES, Ufficio per la cura pastorale dei migranti ed in quella veste si dedica da anni, con straordinaria passione ed importanti risultati concreti, a condividere e risolvere i problemi, spesso grandissimi, degli immigrati presenti nel territorio senese. In particolare ha “incontrato” in questa attività moltissimi profughi provenienti dalla Ex Jugoslavia e soprattutto dal Kosovo. Dal novembre del 2001, quando si è recato per la prima volta in Kosovo per accompagnare la salma di un giovane morto sul lavoro a Siena, ha stabilito una straordinaria quantità di legami in questo Paese ed in particolare con i militari italiani lì impegnati. Da qui è nata una intensa attività di solidarietà concreta che ha prodotto anche il progetto di intervento sul Ginnasio di Pec/Peja.
All’aeroporto di Pristina siamo attesi dal ten.col. Maurizio Costanzo, della KFOR (Kosovo Force), che come ingegnere ha garantito la direzione dei lavori di ristrutturazione della scuola e risolto una enorme quantità di problemi organizzativi e burocratici permettendo di giungere in tempi assai rapidi alla conclusione dell’intervento. Il ten.col. Costanzo che come tutti i militari deve muoversi fuori dalla caserma sempre assieme ad un altro soldato, sarà a nostra completa disposizione per l’intera permanenza. Ci accompagnerà come autista e guida, sempre pronto a rispondere a tante nostre domande sulla realtà Kosovara ed a discutere sulle ipotesi interpretative e sul che fare.
Partiamo subito per Prizren, sede del Comando KFOR, dove giungiamo dopo circa un’ora e mezza. Durante il viaggio sono subito colpito dalle molte case nuove, ben curate ed anche da una campagna molto meno arida e brulla di quanto mi aspettassi. Questa impressione è senz’altro accentuata dal fatto che pensavo di trovare solo costruzioni molto degradate e cadenti che, certamente, si incontrano spesso, ma non sono le uniche. Come vedremo anche nei giorni successivi nelle altre zone visitate, il Kosovo è un immenso cantiere; le uniche attività produttive che si incontrano dovunque sono le cave di estrazione e lavorazione di materiali da costruzione e i magazzini di vendita dei prodotti per l’edilizia. Le risorse finanziarie provengono senz’altro dalle rimesse dei molti Kosovari emigrati in vari Paesi europei, dagli aiuti internazionali, ma certamente sono anche frutto di consistenti “investimenti” della criminalità organizzata che gestisce e ricicla anche nell’edilizia immensi capitali frutto dei traffici della droga, delle armi e della tratta di esseri umani. In particolare penso a questo vedendo il gran numero di alberghi e ristoranti nuovi o in costruzione lungo tutte le vie che percorriamo.
Per le strade incontriamo, assieme a vecchi barrocci e trattori scassati, un buon numero di macchine di media e grossa cilindrata, spesso nuove. L’impressione che si raccoglie è che c’è una quota di popolazione, certamente minoritaria, ma non insignificante, benestante ed anche ricca. Mi dicono che questo è vero essenzialmente nelle città e lungo le vie principali, mentre molto più povera è la realtà delle zone più interne.
Giunti a Prizren entriamo nella grande base militare della KFOR: si tratta di una caserma tedesca, anche se sono presenti centinaia di italiani ed in misura minore spagnoli, svizzeri, bulgari, georgiani e militari di altre nazionalità. Ci sistemiamo in due stanze con letti a castello a fianco di quelle occupate dai nostri militari. La base è una vera e propria città multinazionale con bar, ristoranti, discoteca, ma la vita in caserma appare quella di sempre. La presenza di qualche decina di donne in mimetica, anfibi e mitra sempre in mano, come devono fare tutti i militari in questa base, non cambia la sostanza, anzi a me fa venire un po’ di “tristezza” in più.
Per salutarci è stata preparata una cena all’aperto, sotto alcuni ombrelloni, con una quindicina di ufficiali, sottufficiali ed il cappellano militare. L’atmosfera è serena e scherzosa. Ne approfittiamo per farci spiegare la struttura della presenza della KFOR e in particolare per approfondire il ruolo e l’attività del CIMIC (Cooperazione Civile e Militare) Abbastanza presto ci congediamo per andare a letto.
Venerdì 28 ottobre
Dopo aver fatto colazione al “Bar Italia”, alle 8.00 (prima di quell’ora non si può uscire dalla base) partiamo per Peja/Pec dove è in programma un incontro al Municipio e dove, su un’altura ai piedi delle montagne che sovrastano la città si trova “Villaggio Italia”, la principale base italiana in Kosovo con quasi 1500 militari. Lungo la strada, come già avevamo notato ieri, si trovano tanti piccoli cimiteri – sacrari, con la bandiera del Kosovo, dove sono seppelliti i morti UCK della guerra contro i serbi e che sono molto più curati degli altri cimiteri.
All’incontro in Comune sono presenti il capo esecutivo (mi è sembrato una sorta di direttore generale assai importante) sei assessori, il rappresentante di un centro giovani e la responsabile per le pari opportunità. Partecipano all’incontro anche Laura Gava, italiana, responsabile dell’ufficio UNMIK (United Mission Kosovo) per le minoranze etniche e Michele Schivo, responsabile dell’ufficio Sud Est Europeo dell’ONG toscana Ucodep, che sta seguendo in particolare il programma Seemet denominato “I governi locali motori dello sviluppo: ricostruire i ponti del dialogo nel sud est europeo” e di cui la Regione Toscana è capofila.
L’incontro si protrae per quasi due ore e, naturalmente, assieme ai ringraziamenti alla Fondazione MPS ed alla Regione per quanto già fatto, viene presentato un lunghissimo elenco di esigenze, problemi e progetti. I dubbi maggiori mi sono venuti a proposito dell’insistenza posta sulla importanza da attribuire allo sviluppo turistico in Kosovo; prospettiva davvero poco realistica in una situazione così poco chiara per quanto riguarda il futuro della regione.
La responsabile delle Nazioni Unite afferma che dal punto di vista della gestione del Comune la situazione è molto migliorata e che quindi è terminato il loro compito di affiancamento dell’amministrazione civile che era previsto in ogni settore di attività. L’ONU continua a svolgere un’attività di monitoraggio per verificare il raggiungimento o meno degli standard previsti, soprattutto sul versante della coesistenza multietnica.
Nel corso dell’incontro Michele Schivo presenta il programma Seenet, che è promosso dalla Regione Toscana e dalle ONG Ucodep e Cospe, in accordo con il Ministero degli Esteri con una dotazione finanziaria di 4 milioni di Euro, vede coinvolti 21 Enti Locali dei Balcani (tra cui la municipalità di Pec/Peja) e 15 della Regione Toscana. L’obiettivo è il rafforzamento delle competenze gestionali delle autorità locali nei settori dello sviluppo economico e dei servizi pubblici, nonché dei rapporti di partenariato tra gli Enti Locali coinvolti. Il programma prevede anche “iniziative prioritarie” in oggi città; in particolare a Pec/Peja si tratta di un progetto di estensione della rete fognaria (ml. 2850 di rete primaria con 1340 famiglie beneficiarie tramite allacciamenti individuali) e l’introduzione presso la municipalizzata locale di un sistema di informazione territoriale (SIT).
All’uscita del Comune incontriamo anche il Sindaco che si dimostra molto informato sugli interventi realizzati nel Ginnasio ed assicura la sua presenza all’inaugurazione prevista per il giorno successivo.
Sui muri della città, ci dicono da alcuni giorni, è comparsa la scritta, riprodotta in stampatello, “JO NEGOCIATA – VETEVENDOSJE” (No Negoziato – Autodeterminazione) che è il primo segnale che percepiamo direttamente di una situazione di tensione ben presente che cova sotto la cenere.
Per pranzare ci spostiamo al Villaggio Italia: la mensa è enorme ed il vitto è vario ed abbondante, rigidamente italiano. In barba alla psicosi aviaria mangiamo anche pollo e patatine.
Subito dopo incontriamo due rappresentanti di una Associazione che fin dal nome si proclama multietnica e che per questo ci appare molto interessante. Ci presentano il progetto di una casa famiglia per anziani che vorrebbero realizzare alla periferia della città. In due incontri che avremo poco dopo con esponenti religiosi serbi, a conferma di quanto la realtà sia sempre molto più complicata delle apparenze, verremo a conoscenza della loro feroce opposizione. Ci diranno: “non è vero che la presidente dell’Associazione è Serba”, mentre “il progetto vuole solo espropriare terreni rivendicati come propri dal Patriarcato di Pec”.
Usciamo dalla base per recarci al vicino Monastero Ortodosso di Decane, un complesso architettonico di straordinario valore, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, inserito in un ambiente naturalistico altrettanto bello. L’area è presidiata giorno e notte dai nostri militari. All’interno ci accoglie l’impressione di una pace assoluta, purtroppo però immediatamente e duramente contraddetta dal nostro interlocutore, Padre Xenofonte; un religioso abbastanza giovane, con la classica lunga barba nera; un intellettuale che conosce molte lingue, tra cui benissimo l’italiano.
Il colloquio non dura più di mezz’ora, ma è più che sufficiente per farci comprendere benissimo che nessun passo avanti è stato compiuto in questi sei anni di dopoguerra. Secondo Xenofonte la responsabilità dei problemi che rimangono sul tappeto è tutta di parte albanese – mussulmana; mentre la comunità internazionale e la stessa KFOR compiono scelte sempre sbilanciate contro i serbi.
Al nostro invito a considerare il fatto che gli albanesi non possono essere considerati tutti estremisti, l’immediata risposta è: “certamente, ma quelli che comandano lo sono”. All’osservazione che forse in altre zone dei Balcani le responsabilità erano invertite, la risposta è altrettanto inequivocabile: “gli ortodossi della Bosnia, sono di etnia bosniaca, non serba”.
Ce ne andiamo assai più pessimisti di come siamo entrati in quel “luogo di pace”.
Sulla via del ritorno verso Prizren ci fermiamo a BEZ Jakovica dove visitiamo una scuola materna che ospita oltre settanta bambini gestita da sorella Giuliana, una suora albanese, Basiliana, cattolica di rito greco-bizantino. Anche questa struttura è molto conosciuta da Don Doriano ed il suo aiuto, come quello dei militari italiani, attivo da tempo. Anche qui ci vengono presentati progetti di sviluppo della struttura, tra cui l’opportunità di avere alcune stanze da utilizzare come centro accoglienza.
In macchina è una continua richiesta di informazioni al ten. col Maurizio Costanzo e di conseguenti discussioni. Colpisce che il costo della benzina è pari ad un Euro al litro a conferma della mia convinzione che una parte minoritaria, ma non piccolissima della popolazione, ha entrate ben superiori a quelle garantite per esempio da lavori, considerati buoni, come quelli svolti da Kosovari presso le basi militari, che vengono retribuiti con trecento-quattrocento Euro mensili.
Rientrati alla base di Prizren, ceniamo al ristorante tedesco, evitando accuratamente salse e pasta poco commestibile.
Sabato 29 ottobre
E’ il giorno dell’inaugurazione dopo in lavori di ristrutturazione del Ginnasio “Bedri Peani” di Peja/Pec. Il progetto è stato proposto alla Fondazione MPS dalla Parrocchia di S.Giovanni Battista a Fogliano (Siena) all’interno delle sue attività di accoglienza degli immigrati tramite la Fondazione Migrantes dell’Arcidiocesi di Siena. I lavori hanno interessato una parte significativa degli impianti elettrici, idraulici e di riscaldamento, l’adeguamento dei bagni al piano terra, la sostituzione di porte (8) e finestre (286), il rifacimento di una parte dei pavimenti. L’intervento della Fondazione MPS è stato di 100.000 Euro, il Comune ha compartecipato per 28.000 Euro. Fondamentale è stato il supporto e la collaborazione concreta fornita dai militari della KFOR e la consulenza legale dell’UNMIK.
Arriviamo con un po’ di anticipo rispetto alla cerimonia fissate per le undici.
L’edificio è un solido palazzo dell’inizio del ‘900 da sempre adibito a scuola, con intorno un’area recintata assai ampia. L’importanza dei lavori eseguiti è evidente anche all’occhio di un non esperto; altrettanto evidente è che rimangono da affrontare altre necessità urgenti: rifacimento di una parte del tetto, dell’intonaco esterno e della parte interna non ristrutturata con il primo intervento. Oltre al preside, che è un insegnante di inglese che parla sufficientemente bene italiano, ci accolgono anche un piccolo gruppo di rappresentanti degli studenti, ragazzi e ragazze che davvero sono identici ai nostri: nei capelli, nei pantaloni bassissimi, come nei piercing che portano.
Le presenze all’inaugurazione ne sottolineano l’importanza: ci sono una quarantina di militari italiani con il comandante del contingente italiano KFOR (ci sono anche i parà di stanza a Siena che stanno per rientrare in Italia), il Sindaco con un bel gruppo di assessori, il Capo Ufficio UNMIK, l’Iman della città di Peja/Pec, una TV locale e altri giornalisti. Mi colpisce la limitata presenza degli insegnanti che non capisco se programmata oppure dovuta al fatto che ormai da un mese è in corso uno sciopero ad oltranza in tutto il Kosovo, ci dicono per rivendicazioni economiche.
Tutti intervengono con ripetuti apprezzamenti per la Fondazione MPS, lì chiamata semplicemente Banca, e continue sottolineature sull’importanza della scuola e di questa in particolare nella realtà della regione. L’intervento dell’Iman è di grande apertura verso tutte le religioni, anche se non c’è posto per chi non crede: “non c’è l’uomo senza la religione”.
Terminata la cerimonia il collaboratore locale di Ucodep mi invita a vedere i lavori per la nuova fognatura che sono in corso proprio a poche centinaia di metri dalla Scuola. Si tratta del terzo lotto dei sette previsti nell’intervento coordinato dalla Regione Toscana. Sono lavori che appaiono necessari dal punto di vista igienico, ma resto col dubbio che la ripartizione della spesa (60% a carico del progetto, 25% del Comune, 15% dei privati interessati) sia squilibrata, perché lungo la strada interessata dai lavori si trovano numerose villette i cui proprietari, certamente, non hanno contribuito in proporzione al valore delle case ed ai loro redditi.
A pranzo siamo ospiti della ditta ELCOM che ha eseguito i lavori della Scuola, vinti dopo una regolare gara di appalto gestita, assieme al Comune, dai nostri militari. Ci portano alcuni chilometri fuori città, nella Valle Rugova; un bellissimo canyon che sale in montagna verso il confine con il Montenegro, reso ancora più affascinante da meravigliosi colori autunnali. Accanto al ristorante c’è un allevamento di trote (trofte in albanese; è l’unica parola che mi è rimasta in mente), che ci vengono servite ben cucinate.
Di ritorno ci fermiamo al Patriarcato di Pec che con il suo complesso di chiese è uno dei più importanti monumenti del passato serbo. Qui è stato consacrato anche l’attuale Patriarca Serbo Ortodosso. L’area è recintata con sbarramenti e filo spinato, all’ingresso sono parcheggiati due blindati con grandi cannoni ed i militari italiani presidiano la zona 24 ore su 24. Incontriamo suor Dobrilla, una minuta, ma straordinariamente energica suora che ha vissuto a lungo in Francia e parla benissimo italiano con un simpatico accento francese. Ci accompagna nelle chiese, parla di grandi personaggi del passato storico e religioso della Serbia, illustra splendidi affreschi. A differenza di Padre Xenofonte che ha subito rifiutato il tema, dimostra un certo interesse quando accenniamo a verificare la possibilità di effettuare qualche intervento di restauro. Nella successiva chiacchierata Dobrilla è senz’altro molto più moderata di Xenofonte nei toni e pare prestare attenzione al nostro invito alla necessità di guardare avanti e di prestare più attenzione alle categorie del perdono e della riconciliazione, ma quando si scende sul terreno dei contrasti concreti, attuali è altrettanto dura e determinata.
Torniamo in caserma sempre più convinti che la strada da percorrere in Kosovo per la pace è ancora davvero molto lunga. In macchina continuiamo sempre a fare domande ed a discutere, anche animatamente. Abbiamo conferma che nelle scorse settimane albanesi incappucciati hanno fermato pattuglie di militari italiani ed hanno consegnato loro volantini per l’indipendenza. Finiamo di nuovo a cena al ristorante tedesco.
Domenica 30 ottobre
Caricate le valige sulla macchina, partiamo con destinazione Villaggio Italia. Nei pressi della base ci fermiamo nell’enclave serba dove, come era già successo durante la guerra, molte case sono state distrutte nel marzo 2004, quando all’improvviso gruppi di estremisti albanesi presero di nuovo di mira case e chiese serbe in tutto il Kosovo.
Anche qui da allora i militari italiani presidiano in permanenza la strada di accesso, si stanno ricostruendo alcune case, ma i ritorni delle famiglie serbe sono molto lenti, come in tutta la regione.
Arriviamo alla base italiana in tempo per la Messa domenicale. Entrato in Chiesa confesso di aver subito pensato a Don Milani. Non avevo mai visto oltre un centinaio di militari, con mimetica e anfibi e alcuni anche con le pistole, cantare e pregare. Il cappellano militare esalta i militari italiani che nel mondo sono impegnati per la pace, ma anche… per far vincere la fede cattolica. Al termine della Messa viene data lettura della preghiera del paracadutista che chiede a Dio nientemeno che di “distruggere i nemici”…Pranziamo velocemente alla mensa e poi ci precipitiamo verso l’aeroporto di Pristina per una strada che ancora non avevamo percorso. Ad un certo punto incontriamo qualche decina di case ancora completamente distrutte dalla guerra, ma per il resto anche da questa parte molte case sono nuove e molte altre in costruzione.
Pochi minuti prima della 16.00 decolliamo e, sempre via Budapest, alle 20.00 siamo a Roma.